di Pier Felice degli Uberti
Quest’istituto
socio-religioso presenta elementi fondamentali comuni presso tutti i popoli della
terra, affondando le sue radici in remoti spazi e tempi anche distanti fra di loro,
connotati da caratteristiche ricorrenti in tutte le epoche e latitudini, sia
che si parli delle civiltà protostoriche del Vicino Oriente, che dell’Egitto
faraonico, oppure di alcune zone dell’Etiopia o dell’Africa orientale,
sudorientale, centrale ed occidentale, ma anche del Perù, del Messico
precolombiano, delle isole della Società, di Tonga e delle Hawaii. La regalità
è stata sempre incentrata sulla figura del re sacro, del re divino, che viene
considerato tale in quanto figlio della divinità e suo rappresentante sulla
terra; ma altre volte è visto come solo un eroe divinizzato, un individuo
prescelto per volere divino dopo il superamento di prove di ordine magico o
solo per aver goduto del favore divino.
La regalità
sacra ha quindi una duplice interpretazione: in chiave magica in quanto il re è detentore di poteri extraumani[1];
oppure in una semplice chiave simbolica
dove il re è il rappresentante del gruppo umano sul piano sacrale o sul
territorio a lui soggetto. Dobbiamo rilevare che entrambe le chiavi di lettura
coincidono se si considera quale “soggetto” il re sacro, che così permette l’attivazione
della realtà, sottraendo la logica ad elementi extra-umani, rendendola passibile
di semplici interventi umani, facendo però possibile l’intervento di un solo
uomo, il re, liberando gli esseri umani dalle responsabilità e dalle angosce
del diventare storico. Questo esempio lo ha vissuto il popolo giapponese con la
cosiddetta
Dichiarazione della natura umana dell’imperatore,
un controverso rescritto imperiale promulgato il 1º gennaio 1946 dall’imperatore
del Giappone Hirohito a seguito di un’interrogazione formale del comandante
supremo delle forze alleate Douglas MacArthur. Sulla base di una delle
interpretazioni, in questa dichiarazione l’imperatore avrebbe rigettato l’idea
secondo la quale egli sarebbe l’incarnazione vivente di un dio. La leggenda che
accompagna la nascita dello stato giapponese vuole che il capostipite della
dinastia imperiale, il primo sovrano Jinmu, fosse un pronipote della
Grande Dea del Sole Amaterasu, letteralmente “Grande dea che splende nei
cieli”). In base a questa tradizione, i sovrani giapponesi sono sempre stati
considerati discendenti diretti degli dei. La dichiarazione rese possibile la promulgazione
della Costituzione del Giappone, secondo la quale l’imperatore è «il simbolo
dello Stato e dell’unità del popolo». Proprio per questo la regalità
sacra è connessa con la formazione di Stati a struttura centralizzata, tesi
alla propria espansione con mezzi militari, in cui la guerra veniva spesso
motivata quale affermazione della divinità nazionale, alla quale non di rado si
offrivano sacrifici umani di prigionieri (per esempio come succedeva nel
Messico). Il rituale per l’elezione al trono era assai complesso e il re
riceveva un nuovo nome, speciali insegne e nuove vesti; il re-sacro parlava
sempre tramite un funzionario a ciò preposto, detto “bocca del re”. Il
re ed il di lui “sangue reale” quale tutore divino della prosperità del Paese e
responsabile dei successi militari, non poteva essere contaminato, ed è così
che si giunge al matrimonio con una sorella, naturale o classificatoria, la
sola che avrebbe potuto diventare regina. La sorella-regina, sia durante la
vita del re, sia dopo la sua morte (divenendo regina-madre), aveva potere
assoluto su tutte le donne e una certa autorità nella casa del monarca; inoltre
poteva svolgere la funzione di consigliere del re e spesso, alla sua morte,
assumeva la reggenza fino alla elezione del nuovo monarca. Il sangue reale non
poteva essere sparso come accadeva in Africa, quando sconfitte militari,
carestie o gravi calamità colpivano il Paese e il re-sacro veniva ucciso per
allontanare la “maledizione divina”. Ciò si eseguiva solo per avvelenamento o
strangolamento; così alla morte del monarca tutte le sue concubine (raramente
la moglie-regina), i funzionari, i servi e gli schiavi venivano sepolti vivi
con lui, ma tale usanza di norma si limitava al sacrificio di qualche schiavo e
di alcuni prigionieri; la morte naturale o provocata del re poteva essere
comunicata solo dopo un certo periodo rituale e veniva annunciata con
perifrasi. Tali caratteristiche vennero elaborate dai vari popoli in modi
diversi e in pratica solo in alcuni casi (Egitto, Cina, Messico, Perú) il
re-sacro aveva poteri assoluti; più spesso capi locali, consiglieri, funzionari
agivano in modo autonomo pur rispettandone la figura simbolica.
Nella
nostra civiltà occidentale la regalità è identificata con il re, che nella
gerarchia dei titoli nobiliari può essere un grado inferiore solo a quello di
imperatore. È la titolatura distintiva dei sovrani, eccetto che a quelli di
piccoli stati (che generalmente sono detti principi, granduchi, duchi ecc.).
Solo in alcuni casi ha comportato un’effettiva subordinazione all’imperatore.
Molte monarchie europee infatti hanno origine con la diretta investitura dell’imperatore
nell’alto medioevo, anche se spesso si trattò solo di un atto formale e
generico di qualche sovrano (Ungheria, Polonia, Boemia, Danimarca, Francia,
Inghilterra) o con il riconoscimento del regno di Prussia e del regno di
Sardegna. Nell’ambito dell’Europa latina fra il 1250 ed il 1700 i regni furono
relativamente pochi: Scozia, Irlanda, Inghilterra, Francia, Navarra,
Portogallo, Castiglia, León, Aragona (questi ultimi tre unificati nel regno di
Spagna), Norvegia, Svezia, Danimarca, Germania, Arles o Gallia, Italia (questi
ultimi tre spettanti al Sacro Romano Imperatore), Napoli, Sardegna, Sicilia,
Polonia, Ungheria. Una particolarità era costituita dal regno di Boemia, che
era diventato un feudo del regno di Germania, ma aveva potuto mantenere il
proprio titolo: si trattò di un’evidente eccezione. Alcuni altri regni erano
esistiti nel Medioevo. Nel 1701 la Prussia fu elevata a regno. Napoleone elevò
a regni la Sassonia, la Baviera ed il Württemberg. Inoltre creò tre regni di
breve durata: Etruria, Vestfalia e Olanda. Il Congresso di Vienna elevò a regni
lo Hannover ed i Paesi Bassi. Nel 1830 e nel 1832 rispettivamente divennero
indipendenti i regni del Belgio e di Grecia. Nel 1861 fu creato il Regno d’Italia.
Infine entro la Prima guerra mondiale divennero regni anche la Romania, la
Serbia (poi Jugoslavia), la Bulgaria ed il Montenegro. Fra il 1928 ed il 1943
anche l’Albania fu un regno.
Nella
nostra tradizione cattolica la regalità è rappresentata dalla figura di Cristo
Re, ed è l’affermazione del primato universale, spirituale ma in alcuni momenti
anche temporale, di Cristo nella vita sociale e individuale (proclamato
ufficialmente dalla Chiesa con l’enciclica Quas
primas di Pio XI proclamata l’11 dicembre 1925). Nell’enciclica si spiega
che il regno di Cristo è principalmente spirituale, e Gesù stesso l’ha detto
più volte, in particolare davanti a Pilato (Gv 18,36); tuttavia Cristo ha ricevuto
dal Padre il dominio su tutte le cose: «…
D’altra parte sbaglierebbe gravemente chi togliesse a Cristo Uomo il potere su
tutte le cose temporali, dato che Egli ha ricevuto dal Padre un diritto
assoluto su tutte le cose create, in modo che tutto soggiaccia al suo arbitrio.
Tuttavia, finché fu sulla terra si astenne completamente dall’esercitare tale
potere, e come una volta disprezzò il possesso e la cura delle cose umane, così
permise e permette che i possessori debitamente se ne servano…». Ricordando
poi quanto egli stesso aveva scritto in una sua precedente enciclica, continua:
«…Noi scrivemmo circa il venir meno del
principio di autorità e del rispetto alla pubblica potestà: “Allontanato,
infatti - così lamentavamo - Gesù Cristo dalle leggi e dalla società, l’autorità
appare senz’altro come derivata non da Dio ma dagli uomini, in maniera che
anche il fondamento della medesima vacilla: tolta la causa prima, non v’è
ragione per cui uno debba comandare e l’altro obbedire. Dal che è derivato un
generale turbamento della società, la quale non poggia più sui suoi cardini
naturali”…». Infine conclude: «…È
necessario, dunque, che Egli regni nella mente dell’uomo, la quale con perfetta
sottomissione, deve prestare fermo e costante assenso alle verità rivelate e
alla dottrina di Cristo; che regni nella volontà, la quale deve obbedire alle
leggi e ai precetti divini; che regni nel cuore, il quale meno apprezzando gli
affetti naturali, deve amare Dio più d’ogni cosa e a Lui solo stare unito; che
regni nel corpo e nelle membra, che, come strumenti, o al dire dell’Apostolo
Paolo, come “armi di giustizia” (Rm 6,13) offerte a Dio, devono servire all’interna
santità delle anime. Se coteste cose saranno proposte alla considerazione dei
fedeli, essi più facilmente saranno spinti verso la perfezione…». “Quaggiù gli artisti
conferiscono ai loro strumenti la forma idonea all’uso al quale questi ultimi
sono destinati. Non diversamente il migliore degli artisti forgia la nostra natura
in maniera da renderla adatta all’esercizio della regalità. Attraverso la
superiorità emanata dall’anima, per mezzo della conformazione medesima del
corpo, egli dispone le cose in modo che l’uomo sia realmente idoneo al potere
regale.
Concludo
trattando brevemente della regalità dell’uomo con le parole di Gregorio di
Nissa[2],
in La formazione dell’uomo, 4 dove dice: “Codesto
crisma della regalità, infatti, che eleva d’altronde l’uomo assai al di sopra
delle sue condizioni, l’anima lo manifesta spontaneamente, attraverso la sua
autonomia e la sua indipendenza: è in tal modo che l’anima diviene, nella sua
condotta, maestra della sua propria volontà. E di chi mai è proprio tutto ciò,
se non di un re? Aggiungetevi, altresì, che la sua creazione a immagine di
quella natura che tutto governa, dimostra appunto che l’anima umana possiede,
fin dal principio, una natura regale. Secondo quanto accade solitamente, gli
autori dei ritratti di prìncipi, oltre alla rappresentazione dei lineamenti,
esprimono la loro dignità regia vestendoli di abiti purpurei. Di fronte a
immagini del genere, infatti, si ha l’abitudine di dire: «ecco il re».
Similmente la natura umana, creata per dominare il mondo in virtù della sua
rassomiglianza con il re universale, è stata concepita come un’immagine vivente
che partecipa del proprio archetipo nella dignità e nel nome. Non l’avvolge la
porpora, né lo scettro né il diadema illustrano la sua dignità (l’archetipo,
neppure lui, possiede tutto ciò); al posto della porpora, invece, essa è
rivestita della virtù, il più regale di tutti gli abiti; in luogo dello
scettro, essa si sostiene sulla beata immortalità; al posto del diadema regale,
essa reca la corona di giustizia. In essa dunque, grazie alla sua precisa
rassomiglianza con la bontà dell’archetipo, ogni cosa palesa la sua dignità
regale.”
Nessun commento:
Posta un commento